Dove sono gli adolescenti? La voce degli studenti inascoltati nella crisi. Lo studio di Save The Children
Secondo l’ONU, la pandemia ha causato
“La più grande interruzione dei sistemi educativi della storia, interessando quasi 1,6 miliardi di studenti in più di 190 paesi in tutti i continenti”
In Italia la chiusura delle scuole è iniziata il 23 febbraio 2020 in alcune regioni del nord, e si è poi estesa all’intero territorio nazionale dal 5 marzo 2020.
Da allora, è iniziato un nuovo mondo, che i ragazzi stessi – intervistati da Save The Children – hanno definito “un mondo sottosopra”.
È cominciato un mondo di lezioni fatte al computer, di compiti scaricati e inviati via mail, di gruppi di studio in videochiamata, di scuola fatta in pigiama mentre si fa colazione seduti al tavolo della cucina.
La scuola è cambiata per sempre.
I dati sulla scuola in tempo di pandemia
I dati Istat raccontano che 1 studente su 8 – il 12,3% – tra i 6 e i 17 anni, circa 850mila persone, non ha a disposizione né pc né tablet.
Nel centro Italia si sale fino a 1 minore su 5 – il 19% -.
Circa 3milioni e 100mila studenti tra i 6 e i 17 anni – il 45,4% – hanno difficoltà a seguire la didattica a distanza, per mancanza di dispositivi tecnologici in famiglia, o perché del tutto assenti o perché devono condividerli con fratelli e sorelle o perché inadeguati a supportare i programmi usati per la didattica a distanza (DAD).
A queste difficoltà si aggiunge il problema dell’assenza di spazio adeguato all’interno delle case per seguire le lezioni a distanza.
Secondo l’Istat nel 2018, in Italia, oltre 4 minori su 10 – il 41,9% – hanno vissuto in condizioni di sovraffollamento abitativo.
Ciò, in tempo di pandemia, incide molto sulla capacità di bambini e ragazzi di concentrarsi per seguire con attenzione le lezioni online e, poi, di fare i compiti.
Come stanno bambini e adolescenti?
Oltre all’apprendimento, però, bisognerebbe prestare attenzione anche alle ripercussioni emotive e psicologiche che la pandemia ha avuto e sta avendo su bambini e adolescenti, soprattutto di quelli che già vivevano in condizioni di maggior svantaggio.
È passato quasi un anno dall’inizio della pandemia. In quasi 12 mesi bambini e adolescenti sono spariti dal dibattito pubblico e dalla politica.
Si è parlato di loro solo come soggetti a rischio per la trasmissione del contagio oppure, in qualche raro caso, per la loro diretta mobilitazione a favore della riapertura delle scuole.
Non si capisce perché, dal momento che è evidente che gli effetti della pandemia graveranno sul loro futuro.
Per questo Save The Children, in collaborazione con Ipsos, nell’indagine “Dove sono gli adolescenti? La voce degli studenti inascoltati nella crisi”, ha intervistato 1000 studenti tra i 14 e i 18 anni.
I dati dell’indagine Save The Children e Ipsos
Partendo dall’esperienza della didattica a distanza, sebbene la maggioranza degli studenti la valuti positivamente (soprattutto i 14-15enni), un numero rilevante di adolescenti, quasi 4 su 10 (38%), esprime un giudizio negativo.
Più di 1 ragazzo su 3 (35%) ritiene che durante la DAD la propria preparazione scolastica sia peggiorata.
Per 7 studenti su 10 la DAD rende più complicato:
– concentrarsi durante le lezioni
– imparare nuove cose
– socializzare con i compagni
1 su 2 ritiene inoltre che sia più difficile rispettare il programma scolastico.
Dal giudizio degli studenti emerge anche come i docenti abbiano affrontato l’emergenza senza disporre di una preparazione specifica sulla didattica a distanza.
Oltre un terzo degli studenti (37%) dichiara che la totalità dei propri insegnanti ha continuato a fare lezione allo stesso identico modo di prima, trasferendo sullo schermo del pc le modalità utilizzate in aula, per il 44% solo qualcuno tra i propri docenti ha introdotto delle novità, mentre la maggior parte dei professori ha continuato a fare lezione come sempre.
Quelli che hanno cambiato, con il passaggio online, il modo di fare lezione, riguardano soprattutto, secondo i ragazzi
– la visione di video e filmati (65%)
– la messa in rete di lezioni digitali liberamente fruibili dagli studenti in modalità asincrona (49%)
– l’uso di esercizi interattivi, giochi didattici e test (40%)
Il 26% di giovani ha sperimentato la consultazione di articoli o paper on-line (26%), la divisione per gruppi (25%), lo studio di diverse materie insieme per argomenti (18%).
Le assenze e la dispersione scolastica in DAD
In media, nell’ultimo mese (lo studio si riferisce a novembre-dicembre 2020), i ragazzi intervistati hanno dichiarato di aver fatto 1,25 giorni di assenza.
Più di un ragazzo su 10 riporta un numero di assenze pari a tre o più giorni nell’ultimo mese e quasi un ragazzo su 10 (8%) ammette che rispetto allo scorso anno scolastico le assenze sono aumentate.
Problemi di connessione o copertura di rete (28%) e problemi di concentrazione durante le lezioni online (26%) sono i motivi principali che portano a non frequentare regolarmente le lezioni online.
Più di 7 ragazzi su 10 (72%) dicono di avere almeno un compagno che sta facendo più assenze rispetto allo scorso anno (+ 16-18enni: 75% vs 69% dei 14-15enni).
Più di un ragazzo su 4 (28%) afferma che dal lockdown di primavera c’è almeno un proprio compagno di classe che ha smesso completamente di frequentare le lezioni (1 su 3 al Centro, meno fra i più giovani: 24% fra 14-15enni vs 30% fra i 16-18enni).
Di questi, il 7% afferma che i compagni di scuola “dispersi” durante il lockdown sono tre o più di tre.
Alla domanda sulla principale difficoltà sperimentata nella fruizione della DAD, gli studenti hanno risposto che è dovuta soprattutto alla fatica nel concentrarsi per seguire le lezioni online (citata da quasi un ragazzo su 2, il 45%) e dai problemi tecnici dovuti alla connessione internet o copertura di rete propria o dei docenti (41 e 40% rispettivamente).
Seguono i problemi tecnici dovuti alla scarsa digitalizzazione dei docenti e la noia (33% ciascuno).
I genitori rappresentano il principale punto di riferimento in caso di problemi con la DAD (44%), seguiti dai docenti (26%).
In quasi un caso su 10 (9%), gli studenti riportano episodi di discriminazione online verso compagni che avevano problemi con la fruizione della DAD.
Per quasi un ragazzo su 10 (8%), inoltre, la fruizione della DAD avviene in stanze condivise con altri membri della famiglia.
Quasi 4 ragazzi su 10 ritengono che il periodo a casa da scuola stia avendo ripercussioni negative sulla propria capacità di studiare (37%) e sul proprio rendimento scolastico (27%).
L’impatto emotivo e psicologico della pandemia sugli adolescenti
Il 24% degli adolescenti intervistati ritiene che stare a casa stia producendo un impatto negativo anche sulla propria salute.
Quasi 2 ragazzi su 3 (63%) concordano sul fatto che quest’anno di pandemia abbia rubato loro la possibilità di vivere esperienze sentimentali importanti per qualunque giovane della loro età.
La “stanchezza” rappresenta lo stato d’animo prevalente nei giovani intervistati (31%), seguito da:
– incertezza (17%)
– preoccupazione (17%)
– irritabilità (16%)
– ansia (15%)
– disorientamento (14%)
– nervosismo (14%)
– apatia (13%)
– scoraggiamento (13%)
– esaurimento (12%)
All’estremo opposto della classifica dei sentimenti che maggiormente rappresentano lo stato d’animo degli adolescenti si trova la “rabbia”, che viene indicata solo dal 5% degli intervistati.
Mentre la maggior parte degli intervistati condivide il suo stato d’animo con genitori e amici, più di un adolescente su 5 (22%) non ha trovato il modo di parlare con nessuno del proprio stato d’animo.
Come gli adolescenti vedono il futuro
Guardando ai progetti futuri e alle conseguenze di lungo termine dell’emergenza che stiamo vivendo, più di un ragazzo su 4 (28%) afferma di aver cambiato scelta riguardo il proprio percorso di studi o professionale a seguito della pandemia: quasi 1 su 10 ha dovuto rivedere i propri piani a causa delle difficoltà economiche della propria famiglia (il 6% non andrà all’università e cercherà invece un lavoro, il 3% sta valutando di lasciare la scuola per aiutare economicamente la famiglia in difficoltà).
Il 4% ha deciso invece di iscriversi ad un corso di laurea legato alle professioni sociosanitarie, il 7% si è reso conto di quanto è importante la scienza e ha deciso che al termine delle superiori proseguirà gli studi in ambito scientifico e l’8%, a seguito della pandemia, ha scelto di approfondire l’ambito di studi legato al digitale.
Ampliando lo sguardo ai possibili scenari post vaccino, solo 1 su 4 tra i giovani intervistati pensa che tutto possa tornare come prima, 4 ragazzi su 10 si immaginano infatti un modo diverso di stare insieme, più online, e ben 1 su 4 (30% al sud) pensa che continueremo ad avere paura.
Apre una finestra su possibili scenari di un mondo futuro il 23% degli adolescenti che pensa che quest’anno di pandemia abbia mostrato che non è così importante uscire di casa perché grazie alle nuove tecnologie si può restare in contatto con le altre persone.
Di contro, l’85% degli intervistati ha capito quanto sia importante stare fisicamente insieme con gli amici, uscire, andare al parco, al bar.
Gli adolescenti e la politica
Nonostante il sentimento prevalente di “stanchezza”, gli adolescenti sono ben informati sulle tematiche al centro del dibattito politico.
Ad esempio, il Piano europeo Next Generation raccoglie molto interesse da parte dei ragazzi: ne hanno sentito parlare 7 ragazzi su 10 e quasi 2 su 5 vorrebbero ricevere maggiori informazioni al riguardo.
Interpellati sulle proprie preferenze sugli investimenti da sostenere con il Piano, gli adolescenti mostrano tutta la loro preoccupazione riguardo alla crisi economica in corso e mettono il lavoro al primo posto, sia in riferimento agli interventi a favore dei giovani che del Paese nel suo complesso (rispettivamente il 30% dei ragazzi vorrebbe finanziamenti per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, percentuale che sale al 38% al sud, e il 29% vorrebbe finanziamenti per il mondo del lavoro in generale).
Seguono la possibilità di studiare all’estero gratuitamente (17%) e la possibilità di una frequenza universitaria gratuita (17%).
Riferendosi agli investimenti per il Paese nel suo complesso, ragazzi e ragazze, oltre al lavoro, ritengono prioritario investire sulla salute (21%), sulla lotta alla povertà (19%) e sulla transizione ecologica (12%).
Una soluzione (parziale) da cui trarre esempio
In considerazione della gravità e complessità della situazione e delle ricadute nel medio e lungo periodo per il benessere e le condizioni di vita dei più giovani, Save the Children ha elaborato un programma, “Riscriviamo il Futuro”, partito a giugno 2020 e che si concluderà a settembre 2021.
La strategia del programma si impernia sui bisogni emersi dal dialogo e dal confronto diretto con bambini, adolescenti, famiglie, scuole, operatori, realtà e istituzioni locali.
Riscriviamo il Futuro ha l’obiettivo di raggiungere, in Italia, 100 mila bambini e adolescenti che vivono in contesti svantaggiati con una serie di iniziative per contrastare la povertà educativa e ridurre i rischi di dispersione scolastica.
Il programma si sviluppa per mezzo di una rete attiva sul territorio, nelle scuole e in ambienti extrascolastici e con un diretto impegno rivolto alle famiglie che affrontano gravi difficoltà materiali.
Nei primi sei mesi dall’avvio del programma (giugno-dicembre 2020) sono state raggiunte e sostenute oltre 66 mila persone, tra bambini, adolescenti, famiglie e docenti in tutta Italia.
Il programma Riscriviamo il Futuro ha due obiettivi principali: la lotta alla povertà educativa e alla dispersione scolastica, da un lato, con interventi mirati a garantire un sostegno educativo nel contesto scolastico ed extrascolastico agli studenti con maggiori difficoltà.
Dall’altro, supportare le famiglie più vulnerabili dal punto di vista socio-economico, per garantire un intervento personalizzato e calibrato sulla base dei bisogni e delle necessità specifici di ogni nucleo.
Le previsioni OCSE sul futuro
Secondo l’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, le perdite di apprendimento derivanti dalla chiusura delle scuole avranno ripercussioni sul benessere economico degli individui e delle nazioni.
Gli adulti del futuro avranno meno competenze e saranno meno in grado di partecipare alle attività economiche e sociali.
A differenza dell’impatto economico diretto della pandemia, che sarà temporaneo, gli effetti della perdita degli apprendimenti rischiano invece di essere permanenti.
Gli impatti economici della perdita di apprendimento causata dal Covid-19
Nello studio The economic impacts of Covid-19 learning losses, in particolare nella sezione “Dirette evidenze sugli effetti della chiusura delle scuole” si legge:
Le perdite di apprendimento dovute alla chiusura delle scuole hanno davvero effetti a lungo termine?
L’analisi di tre esempi di lunghe interruzioni scolastiche – indotte dagli scioperi, gli “anni scolastici brevi” tedeschi degli anni ‘60 e le lunghe vacanze estive – mostrano che è davvero così.
Nel 1990, ad esempio, gli insegnanti della parte vallona del Belgio scioperarono per diversi mesi, chiudendo ripetutamente quasi tutte le scuole per un massimo di sei settimane consecutive per diversi mesi.
Belot e Webbink (2010) hanno confrontato lo sviluppo degli alunni colpiti con quelli della parte fiamminga del Belgio, che non è stata interessata dalla chiusura delle scuole dovuta allo sciopero.
I risultati suggeriscono che le chiusure scolastiche hanno portato a un livello di istruzione inferiore, compreso un minore completamento dei diplomi a livelli di istruzione superiore.
L’esperienza degli “anni scolastici brevi” tedeschi
Nel dopoguerra, l’anno scolastico iniziò in primavera nella maggior parte degli stati federali tedeschi. Per uniformare la data di inizio dell’anno scolastico all’autunno a livello nazionale, nel 1966/1967 si sono svolti due brevi anni scolastici in molti stati: il primo è durato da aprile a novembre 1966, il secondo da dicembre 1966 a luglio 1967.
Nella letteratura attuale vengono analizzati gli effetti di questi brevi anni scolastici insieme a quelli
Dell’estensione della scuola dell’obbligo da otto a nove anni attuata in molti stati durante lo stesso periodo.
Sulla base dei dati tedeschi, si vede che gli studenti colpiti dai due brevi anni scolastici hanno effettivamente ricevuto un totale di quasi un anno in meno di istruzione (Hampf, 2019).
Questa perdita può essere vista anche nelle competenze a lungo termine degli alunni interessati: anche nella fascia di età compresa tra i 50 ei 60 anni, le competenze matematiche sono ancora inferiori di circa un quarto a causa dei due anni di scolarità breve (Hampf, 2019).
A lungo termine, gli anni scolastici brevi non solo hanno ridotto le competenze degli studenti ma anche il loro reddito nel mercato del lavoro. Gli studenti colpiti dagli anni scolastici brevi hanno raggiunto una media inferiore del 5% durante la vita lavorativa (Cygan-Rehm, 2018).
Conclusione
Nel complesso, l’esperienza di vari casi di continue chiusure scolastiche – dovute a scioperi, brevi anni scolastici o lunghe vacanze estive – mostra che la mancanza di istruzione ha un impatto negativo sulle opportunità a lungo termine per i bambini e gli adolescenti interessati.
La chiusura delle scuole per tempi molto prolungati ha ampliato il divario nello sviluppo delle competenze.
Di conseguenza, c’è un grande pericolo che la chiusura delle scuole aumenti ulteriormente la futura disuguaglianza nella società.
Abbiamo sviluppato il problema, adesso è il momento di cercare delle soluzioni.
Valory è una di queste grazie al servizio di HELP DESK gestito da professionisti psicologi, i progetti di orientamento 4.0 per sostenere i ragazzi durante un periodo fatto di scelte e una community di ragazzi che cercano nei social uno strumento di crescita.
Se hai domande sull’approfondimento o proposte di soluzioni contattami sui canali social di Valory, sarò felice di risponderti e di avere uno scambio di opinioni.
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Mariangela Campo