La sostenibilità sociale è il nucleo per lo sviluppo sostenibile della società moderna. E’ un tema così importante che non può essere ignorato. A tal proposito avete mai sentito parlare di G8, G20 o di associazioni come Young Women Network o Women20? No? Okay, non vi preoccupate ci pense Martina Rogato, attivista per i diritti umani nonché specialista in Corporate social responsibility (CSR), a spiegarlo alla nostra community.
Io Vera, insieme a Jessica, l’abbiamo intervista durate il #digital innovation days e ci ha colpito la passione con cui affronta questo tema.
Lei è co-fondatrice dello Young Women Network. Com’è nata la cosa, e come riassumerebbe la situazione a un perfetto sconosciuto?
Young Women Network è l’unica associazione non profit, in Italia, ad occuparsi di empowerment delle giovani donne. Nasce dall’idea di due amiche, Teresa e Alessandra, che si sono accorte dell’assenza di reti dedicate alle donne alle prime esperienze professionali. Hanno coinvolto altre loro amiche e costituito l’Associazione non-profit, oggi presente a Roma e Milano con oltre 400 associate e 52 volontarie.
Il gruppo di lavoro di Women20 com’è organizzato e qual è l’obiettivo finale?
Women20 è l’engagement group ufficiale del G20 sulla parità di genere. Esiste una delegazione per ognuno dei 20 paesi del Vertice e la Delegazione italiana è costituita da 6 donne, rappresentanti della società civile ed esperte di questioni di genere. L’obiettivo di W20 è fornire raccomandazioni sulla gender equity e lo women empowerment ai Leader del G20 tramite un documento che si chiama “Communiqué” e che viene consegnato al Capo di Stato (colui che detiene la Presidenza del G20).
Dal punto di vista social, come si impegna Women20? Si tratta più di un comunicare obiettivi raggiunti, one-to-one, o si va anche alla ricerca di opinioni e diversi punti di vista?
Utilizziamo i social network come strumento di informazione, ma anche di advocacy, ovvero di pressione per far recepire le nostre richieste e supportare la diffusione concreta dell’empowerment femminile.
Come definirebbe la situazione delle giovani donne in Italia, oggi, rispetto alla visione globale generale?
In Italia a 40 anni si viene ancora definiti “giovani”, e nonostante la situazione drammatica della pandemia, con il suo notevole impatto su salute ed economia, mi sembra i giovani siano i grandi assenti delle misure di recovery post-COVID. Manca, in generale, una prospettiva generazionale. Se ieri, come trentenni, non potevamo neanche permetterci agilmente un mutuo, oggi la situazione sembra essersi ulteriormente aggravata. L’esperienza in YWN, però, mi ha insegnato che l’unica cosa che possiamo fare come giovani e donne è rimboccarci le mani, fare fronte comune e alzare assieme la voce per migliorare lo status quo. Lo scorso mese sono state numerose le associazioni giovani che hanno presentato delle proposte al governo in tal senso: sono troppe per essere elencate, ma si raccolgono sotto il nome comune di “Rete Giovani 2021”.
Ha avuto modo di insegnare in università, e di entrare a contatto con una vasta gamma di giovani. Ripeterebbe l’esperienza, o il lavoro di consulente è più nelle sue corde?
Affianco la mia attività di consulente alle docenze da circa 3 anni. Ho il piacere di insegnare sostenibilità in alcune business school e ho vinto un bando di concorso per insegnare in un’Università a Roma. Ritengo che sia fondamentale diffondere tra gli studenti una nuova forma mentis di approccio al management, che tenga in considerazione preoccupazioni ambientali e sociali. Per me divulgare questi temi è un dovere civico.
Come pensa che si potrebbe potenziare il sistema scolastico (secondario e universitario) italiano?
Sono molto felice sia stata re-introdotta l’educazione civica nelle scuole e che ci sia anche un focus sulla sostenibilità. Bisognerebbe implementare questi temi e aiutare i professori a tenersi aggiornati su queste tematiche. Già tra i giovanissimi, inoltre, introdurrei dei laboratori sulle soft skill, ad esempio assertività, negoziazione e public speaking. Prima si inizia meglio ci si troverà nel mercato del lavoro.
Pensa che utilizzare strumenti di comunicazione responsabile che stimolano comportamenti proattivi come ValorY – può fornire ai giovani una marcia in più? quanto può essere rilevante il confronto con esperti del lavoro e di psicologia per superare le difficoltà della pandemia e raggiungere obiettivi sostenibili?
Credo innanzitutto sia importante combattere le fake news e tornare ad una comunicazione autentica, basata su fonti certe e soprattutto non ideata per alimentare il sistema malato del “click bate”. Questo credo sia un elemento essenziale per la lotta alla pandemia. Per quanto concerne la sostenibilità, invece, c’è troppa confusione e disinformazione. Credo che in tal senso sia fondamentale il ruolo degli esperti del settore nel divulgare informazione.
Il nostro Futuro può rivelarsi meraviglioso se tutti collaboriamo per rendere lo sviluppo economico e sociale sostenibile.
Noi giovani dobbiamo avere il coraggio di agire per poter diventare parte attiva del cambiamento.
Su Valory App potrete ascoltare l’intervista completa, vi aspettiamo sulla nostra Community per confrontarci e condividere opinioni su cosa vuol dire per voi “sostenibilità”.
Mi chiamo Marco Gastaldi, ho 24 anni e sono appassionato di tematiche inerenti al Digital Marketing che ho approcciato ed approfondito con vari corsi. In occasione dell’evento “Digital Innovation Days” ho scelto di intervistare per ValorY Luca Mastella in quanto mi ha molto colpito un’intervista da lui rilasciata a SKYTG24 (https://lucamastella.com/risorse/growth-hacking-cose-come-funziona/) che contiene consigli molto utili per i giovani che si stanno approcciando al mondo Digital. Luca, dopo varie esperienze maturate anche all’estero, è attualmente Chief Executive & Growth Officer in Learnn (https://learnn.com), una piattaforma on-line che offre strumenti concreti su temi come Growth Marketing, Funnel, Analytics, Content, Social Media, E-commerce e molto altro, con l’obiettivo di supportare studenti, professionisti ed imprenditori nella realizzazione di idee e progetti. Ho posto a Luca alcune domande relative a come è riuscito a crescere professionalmente in ambito Digital, al suo nuovo progetto Learnn e al ruolo che ricopre nel mondo della formazione e nella crescita professionale dei giovani.
Lei vanta una consolidata esperienza nel Digital Marketing, con un particolare focus nell’ambito del Growth Hacking, ma quanto è importante avere nel mercato digitale delle competenze T-shaped?
Reputo le competenze T-shaped non un input ma un output, ovvero la conseguenza di una mentalità estremamente curiosa e volta al risultato. Quando si fa tanto per fare non si cerca di migliorarsi davvero, ma quando ci si focalizza sul risultato diventa necessario acquisire multiple competenze. Questo non solo è un vantaggio enorme in quanto acquisiremo competenze utili e concrete, ma ci protegge da un grande errore che è quello di “studiare per studiare” invece di “studiare per fare”.
Generalmente i giovani che si avvicinano a questo settore hanno molte skills non specifiche su una vasta varietà di discipline e una scarsa verticalizzazione. Secondo Lei far risultare delle competenze non specifiche sul proprio profilo professionale, non può far correre il rischio di essere considerati dalle aziende solo dei “tuttofare” poco esperti?
Assolutamente sì, questo rischio è fortissimo. Penso che tutti noi dovremo avere 1-2 competenze verticali in cui siamo considerati “esperti”. Io però non mi presenterei mai ad un’azienda per le mie competenze ma per i miei risultati. Se fossi giovane cercherei il prima possibile di mettermi nelle condizioni di provare, sperimentare, fallire, riprovare, fare. Una volta che ti presenti per i risultati, belli o brutti, le competenze passano in secondo piano.
Nel 2019 ha lasciato il Suo ruolo in Marketers. Cosa l’ha spinto a prendere questa decisione per iniziare questa nuova avventura nel ruolo di Chief Executive & Growth Officer in Learnn?
Quando presi quella decisione Learnn non esisteva ancora. Né il nome né l’idea. Il mio desiderio, a quasi 30 anni, era quello di buttarmi in un’avventura imprenditoriale tutta mia dove fossi responsabile al 100% dei successi ma ancora prima dei fallimenti. Cercavo qualcosa che mi tenesse “impegnato” per i prossimi 10 anni e ho dovuto prima essere libero di pensare, poi trovare i miei valori personali e solo infine trasformarli in idea.
La modalità di fruizione dei contenuti sulla piattaforma di Learnn è efficace per chi desidera apprendere da remoto discipline Digital evitando di ricorrere a spostamenti, e lo è ancor di più per le persone con disabilità. Quali accorgimenti avete utilizzato per favorire l’accessibilità alla Vostra piattaforma?
Ci sono diverse tecnologie molto specifiche per venire incontro a persone con disabilità su cui lavoreremo nei prossimi mesi. Al momento tutti i nostri contenuti sono fruibili in versione sia video che audio con un custom player che passa dalla versione video a quella podcast con un click. Un prossimo step che faremo a breve sarà quella di aggiungere un terzo formato che è quello scritto. Attraverso la tecnologia AWS (Amazon Web Services – https://aws.amazon.com/it/) che usiamo nella nostra piattaforma convertiremo tutti i contenuti video in transcript che potranno essere sia letti come fossero un testo scritto che consultati all’interno del video come sottotitoli. Penso che questo non sarà ancora abbastanza e che potremo fare ancora di più per venire incontro alle persone con disabilità e sarà un nostro obiettivo nei prossimi mesi farlo.
L’apprendimento on-line sarà secondo Lei uno standard nel futuro? A Suo avviso, quali sono i pregi e i difetti di questa nuova modalità formativa?
Io penso che non ci siano dubbi riguardo a questo, ma in più penso che l’apprendimento sarà online e da mobile. Noi abbiamo fatto una grande scommessa partendo con lo sviluppare la nostra app invece che la versione desktop della nostra piattaforma. Crediamo che un utente deve poter fruire un contenuto ovunque e in qualsiasi momento. Penso che gli svantaggi di questo sono sicuramente la mancanza di confronto e di emozioni con le persone che ci stanno attorno che sono incredibilmente importanti per far nascere nuove idee.
Pensa che uno strumento di comunicazione digitale per i giovani come ValorY, che si concentra su un target ben specifico con contenuti di valore selezionati, possa supportare i giovani nella loro crescita professionale? Le piacerebbe essere un mentore VALORY e pubblicare i suoi contenuti su una piattaforma responsabile?
Penso che ValorY App sia di grande aiuto soprattutto per il vostro target molto specifico. Una cosa davvero importante che ho imparato a fare è non fare qualcosa che dia valore nel breve periodo soltanto perché più facile a discapito del valore vero nel lungo periodo. Per cui direi che il mio tempo come Mentor di ValorY App non sarebbe il miglior modo per dare valore ai vostri utenti ma potremo valutare partnership di altro tipo per dare loro ancora più valore nel medio e lungo periodo.
Nel mondo Digital è necessario avere delle competenze a 360° costantemente aggiornate e mai come oggi è particolarmente utile una formazione continua da remoto. Ciò avviene grazie a piattaforme sempre più evolute e certamente questi sistemi saranno sempre più migliorati con il passare del tempo per permettere a tutti di formarsi in maniera semplice ed efficace. Apprendere lavorando in team su casi concreti è importantissimo e sicuramente operare a distanza riduce in parte le emozioni che si provano quando la formazione avviene collaborando fianco a fianco, side by side. Sono convinto tuttavia che le nuove tecnologie, già in grado di connettere le persone in video call e di farle lavorare a più mani su un documento in tempo reale, riusciranno a rendere la formazione sempre più smart ed accessibile creando nuove forme di collaborazione durature.
Vi aspetto su Valory App per parlare e confrontarci sul tema
La più bella forma d’arte? Noi che ne siamo i restauratori.
É nostro dovere salvare il Pianeta in un periodo di difficoltà come questo.
Come ci spiega l’esperto in ambiente, innovazione nonché Responsabile della Sostenibilità di Enel Global Power Generation Giovanni Tula: “senza sostenibilità non si potrà mai parlare di progresso”.
Quindi noi tutti, i giovani in particolare, dobbiamo prenderci la responsabilità di cambiare le cose, costruendo un futuro al passo con le nostre idee e i nostri sogni.
Basta modificare alcune delle nostre abitudini quotidiane per determinare un enorme cambiamento.
Non sei ancora convinto di volerlo fare?
Sono Jessica Stella, 17 anni e ho scritto per Valory questo articolo intervista nel quale capirai tutti i vantaggi e i motivi per approcciare uno stile di vita eco-friendly.
1.Può spiegare ad un giovane che attività svolge come responsabile della sostenibilità all’interno di Enel global power generation?
La sostenibilità, oltre a rivestire un carattere valoriale, sta diventando sempre più un elemento di vantaggio competitivo e, come tale inizia a entrare nel cuore delle strategie aziendali. Di conseguenza anche il ruolo del “responsabile della sostenibilità” si sta evolvendo verso una figura eclettica in grado di lavorare a più livelli: dall’ormai consolidata attività di coinvolgimento delle comunità locali attraverso progetti di sostenibilità sociale e ambientale mirati a condividere con loro il valore creato dalle nostre attività, fino all’interazione con gli stakeholder finanziari (che sempre di più basano le proprie decisioni di investimento non solo su sulle performance economiche dell’azienda ma anche quelle sociali e ambientali), passando per la definizione di strategie e strumenti che consentano all’azienda di migliorare continuamente la sostenibilità dei processi e dei prodotti.
2. Sarebbe possibile basarsi sul solo utilizzo di fonti rinnovabili per l’energia elettrica che consumiamo quotidianamente, o ci sono caratteristiche negative in queste tecnologie che ne impediscono l’utilizzo?
Le tecnologie per la generazione di elettricità da fonti rinnovabili hanno raggiunto una maturità tale, da renderle competitive sotto tutti i punti di vista. Il solare fotovoltaico e l’eolico, si sono infatti aggiunti all’idroelettrico nella lista delle tecnologie più economiche che domineranno il mercato nei prossimi anni. Oggi un pannello fotovoltaico costa quasi il 90% in meno di quanto costava dieci anni fa e una turbina eolica on-shore quasi il 50%, e questo fa sì che nella maggior parte dei mercati sia più conveniente generare elettricità da fonti rinnovabili che costruire nuovi impianti a carbone. Questo passaggio da una mix energetico basato su fonti fossili ad uno basato su fonti rinnovabili a zero emissioni di CO2, si chiama transizione energetica. Come ogni transizione anche questa richiede degli accorgimenti tecnologici per garantire la stabilità del sistema elettrico (ad esempio sarà sempre più necessario installare dei sistemi di accumulo come le batterie), ma avrà anche degli importanti impatti di carattere sociale: e per tornare al ruolo del responsabile della sostenibilità, è nostro compito aiutare l’azienda a mettere in atto tutte quelle attività che serviranno a rendere questa transizione giusta, ovvero accompagnare i territori, i fornitori, i dipendenti che verranno impattati dalla chiusura degli impianti a carbone verso nuove forme di sviluppo.
3.In cosa consistono le tecnologie che permettono di utilizzare l’energia marina, e quali sono i vantaggi?
La tecnologie per la generazione di energia elettrica dal mare si raggruppano essenzialmente in due macro categorie: quelle che sfruttano l’energia delle maree (tidal energy, in inglese) e quelle che sfruttano l’energia delle onde (wave energy). Il vantaggio di questa forma di energia, specialmente quella delle onde, è che è immensa, presente in moltissime parti del mondo e anche molto prevedibile, e quindi in grado teoricamente di complementare le fonti solari e eoliche. Teoricamente, perché purtroppo le tecnologie marine non hanno ancora raggiunto la maturità tecnologica necessaria alla loro industrializzazione (la maggior parte sono ancora in fase prototipale) né tantomeno quella economica. In sintesi, è importante investire nella ricerca e nello sviluppo vista l’enorme disponibilità della risorsa marina, me è presumibile che ci vorranno ancora diversi anni prima che questa diventi una fonte di energia di uso comune.
4. A che punto siamo con lo sviluppo sostenibile in Italia rispetto agli altri Paesi?
Sul fronte energetico, l’Italia sta andando nella direzione giusta, ha infatti adottato un Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) con cui ha definito ambiziosi obiettivi di sviluppo delle energie rinnovabili che al 2030 dovranno coprire il 55% della domanda di energia elettrica. Ma definire degli obiettivi non basta per diventare sostenibili, è necessario che tutto il sistema Italia vada nella stessa direzione e lavori alla rimozione di quegli ostacoli che ne potrebbero impedirne il raggiungimento. Un esempio? I tempi lunghi e incerti per il rilascio delle autorizzazioni necessarie alla costruzione degli impianti eolici e solari: con il passo attuale si rischia seriamente di non riuscire a raggiungere i target del PNIEC.
Questo esempio vale anche per spiegare un concetto più generale: la sostenibilità riguarda molti degli ambiti dall’uso delle risorse naturali in modo più efficiente, la progettazione di beni in ottica circolare, la mobilità sostenibile, il consumo responsabile e via dicendo. Il minimo comune denominatore di tutti questi ambiti è che se si vuole davvero perseguire un progresso sostenibile per garantire equità tra le generazioni presenti e future, è necessario oggi accettare la necessità di un cambiamento e che non è più possibile continuare a perseguire i tradizionali modelli economici e sociali . Ognuno di noi, come individuo o come parte di un’organizzazione deve fare la propria parte, partecipando attivamente a questo cambiamento, anche se a volte può costare fatica, perché significa cambiare abitudini, oppure generare timore.
5. Adottando un’economia circolare e impiegando energia proveniente da fonti 100% rinnovabili come si evolverà il mondo lavorativo?
E’ difficile prevedere oggi l’evoluzione che avrà il mondo lavorativo. Rispetto al passato in cui tutto era molto più stabile e c’era molta più continuità tra i lavori svolti da generazioni diverse, le grandi trasformazioni che stiamo vivendo (oltre a quella energetica pensiamo solo al fenomeno della digitalizzazione), e le sfide che abbiamo di fronte a noi (prima fra tutte quella ambientale) rendono il mercato del lavoro molto fluido. Chi inizia oggi un percorso universitario, è probabile che una volta terminato il ciclo di studi possa andare a svolgere un lavoro che oggi non esiste. E’ importante quindi, a mio avviso, sviluppare la capacità di adattarsi ai cambiamenti attraverso il continuo studio e apprendimento lungo tutta la carriera lavorativa. Se da una parte questo potrebbe sembrare uno svantaggio rispetto al passato, in realtà è uno stimolo continuo che renderà il lavoro sempre più interessante.
6. Le piace coinvolgere i giovani nei progetti per garantire uno sviluppo sostenibile? Se sì, come?
In un quadro come quello che ho descritto prima, di continui cambiamenti, i giovani giocano un ruolo fondamentale, perché possono contribuire a costruire un futuro con meno pregiudizi dettati dall’esperienza passata e quindi in grado di spingere e realizzare le trasformazioni necessarie per creare un progresso che sia più sostenibile di quanto non lo sia stato sinora. In Enel abbiamo adottato un modello di innovazione aperto all’esterno (open innovation) attraverso cui cerchiamo collaborazioni che portino idee e soluzioni che ci aiutino a vincere le sfide tecnologiche e di sostenibilità che ci pone la transizione energetica, di cui abbiamo l’ambizione di essere leader. Tra i diversi canali di collaborazione, la piattaforma di crowdsourcing openinnovability.enel.com, ad esempio, consente a chiunque di proporre soluzioni o rispondere alle challenge che periodicamente pubblichiamo.
7. Secondo lei l’utilizzo di strumenti di comunicazione responsabile come Valory, può contribuire a diffondere più velocemente tra i giovani la cultura di uno sviluppo più sostenibile?
Certamente, parlare di sostenibilità e creare una cultura e una sensibilità collettiva sono elementi necessari per creare il terreno adatto per una svolta verso un progresso sostenibile. Solo attraverso la conoscenza e la sensibilizzazione si arriverà a interiorizzare che senza sostenibilità non si potrà più parlare di progresso.
Ora che conosci di più il tema della sostenibilità ambientale, non aspettare!
Il momento giusto per iniziare il cambiamento è adesso. Ti aspetto su Valory per condividere le azioni che potremmo intraprendere insieme.
“Se non sbagli forse è perché non stai facendo nulla di nuovo”. Intervista ad Andrea Montuschi
Per un ragazzo di quindici anni riflettere su un’affermazione così dirompente è stato un ottimo allenamento approfondito seppur da remoto, con Andrea Montuschi presidente di Great Place to Work Italia. Ah io sono Diego Patrizio e nelle vesti di Valory Reporter per l’evento #DIDAYS vi presento la mia prima esperienza giornalistica. Ho deciso di intervistare questo speaker perché dopo aver partecipato ad un Talent Lab Valory che mi ha fornito le nozioni base per lavora in un team, ho voluto approfondire tutte le varie sfaccettature di questo tema con un esperto del settore. Il dottor Montuschi non si è semplicemente limitato a parlare del suo lavoro e del suo settore, ma data la sua grande esperienza e generosità, ha veramente “donato” anche importanti spunti di riflessione e consigli. Prima di lasciarvi all’intervista vi pongo le seguenti domande: gli errori sono veramente un qualcosa di negativo? Che importanza date ad essi? Spero che il dott. Montuschi dopo la lettura, possa concedere anche a voi una nuova chiave di lettura.
Potrebbe spiegare in cosa consiste Great Place to Work dando 3 aggettivi che la rendono come azienda diversa dalle altre?
Great Place To Work è una società globale di ricerca, consulenza e formazione fondata nel 1979 e presente in oltre 60 Paesi nel Mondo che aiuta le organizzazioni a migliorare le proprie performance di business individuando, creando e sostenendo ambienti di lavoro eccellenti. È l’unico istituto di ricerca che combina l’ascolto delle persone all’analisi delle politiche HR (Human Resources) ed è conosciuto per le Certificazioni degli ambienti di lavoro di qualità e le Classifiche che premiano gli ambienti di lavoro eccellenti. Lavora insieme ad aziende e organizzazioni di tutti i settori produttivi: da quelle private, alle pubbliche, alle no-profit. In2 concetti (non aggettivi, scusa ma non riesco a definire la mia azienda solo con aggettivi) direi: clima aziendale & employer branding.
In un mondo sempre più globalizzato quanto è importante avere un team variegato e coeso in un’azienda? Pensa che nel futuro ci saranno sempre più aziende attente a investire in questo ambito?
Le aziende sono già attente a questi temi e lo saranno ancora di più in futuro. Avere team coesi e variegati garantisce qualità di vita alle persone e produttività all’azienda. Inoltre, la varietà è spesso fonte di creatività e innovazione. Nonostante sia molto importante avere un team unito per il successo di un’azienda, nella video intervista Andrea Montuschi ha fatto emergere la lacuna di molti paesi: cioè di non prestare ancora abbastanza attenzione su questa tematica. Rimando alla video intervista completa su Valory App, per l’approfondimento.
Da quanto si vede nelle sue esperienze lavorative precedenti, il valore della creatività è sempre stato presente in Lei, in particolare sono rimasto colpito dalla Sua certificazione di LEGO® SERIOUS PLAY® facilitator, per lei quanto è importante oggigiorno il valore della creatività in ambito aziendale?
La creatività è fondamentale in azienda – e nella vita, in generale. Stiamo attraversando momenti difficili e in continuo cambiamento – mi riferisco alla pandemia in corso, ma anche in generale al rapidissimo sviluppo tecnologico di questi anni – e la creatività è la competenza che può consentire a chiunque di sopravvivere, addirittura di prosperare, nei in tempi come questi. Preciso che per creatività non intendo solo la “capacità di ideare cose nuove”, ma il “processo creativo”, che comprende l’analisi della sfida, l’ideazione, la fase di convergenza e l’implementazione finale.
Uscendo dall’ambito aziendale, ritiene che l’integrazione e la diversity siano già presenti come valori nella società, o pensa che è importante per la crescita del paese e dei giovani investire su di essi?
Come purtroppo abbiamo visto in questi mesi, l’integrazione non è ancora un valore così condiviso, nel mondo (penso a Black Lives Matter, ma non solo). Anche in Italia registriamo episodi di intolleranza, spesso riferita a persone di paesi diversi, o a minoranze di altro tipo (LGBT, per esempio). In azienda i casi di razzismo sono fortunatamente molto meno comuni, ma bisogna migliorare nella gestione della diversity di genere (le donne in Italia fanno ancora troppa fatica a fare carriera, rispetto agli uomini) e di età (le famose “generazioni”: forse il punto più complesso, perché nuovo).
Ancora una volta nella video intervista il dott. Montuschi parlando ai giovani, accenna che per far fronte al continuo cambiamento e alla continua innovazione bisogna puntare sui propri interessi, ma anche su certe soft skills, le quali sono descritte e correlate da aneddoti sempre nel video.
Riprendendo il suo articolo “Don’t follow your passions, use them” scritto su Linkedin nel 2014, pensa che ValorY possa essere un mezzo utile per lo sviluppo e per la crescita di un ragazzo? Ha qualche consiglio da dare al riguardo?
Mi fa piacere che ti sia letto pezzi così “antichi”! Un’iniziativa come ValorY può senza dubbio essere un mezzo utile per la crescita di voi giovani. Ogni piattaforma che dà un contributo alla condivisione e che stimola la curiosità, è utile! Il consiglio che mi sento di darvi è proprio quello di nutrire la curiosità e di non aver paura di sbagliare – anzi: dovreste indossare gli errori fatti come delle stellette sul petto! Chi non fa errori, probabilmente non sta provando a fare nulla di nuovo, no? E alla vostra età le conseguenze di uno sbaglio sono spesso minime, mentre la crescita che ne consegue è grande. Quindi questo è il mio consiglio: provate, sbagliate, riprovate, risbagliate…
In bocca al lupo a tutti voi di ValorY e ai vostri utenti!
Andrea Montuschi nell’intera intervista ha saputo rispondere alle domande collegando tematiche diverse tra di loro come: il cambiamento (seppur ancora lento) delle organizzazioni aziendali, da una gerarchia a una democrazia più equa e priva di ruoli rigidi, l’importanza di essere creativi e le ancora presenti disparità sociali che dovranno essere risolte al più presto, solo per citarne alcune. Da questo quadro generale si può rimanere confusi e dubbiosi riguardo al da farsi, ma io invece mi convinco per un’altra volta di un concetto già espresso da Andrea Montuschi nel suo articolo “Innovazione e Leadership” su Linkedin: “Innovazione e perfezione sono quasi incompatibili, come Superman e Clark Kent: non si possono vedere mai nella stessa stanza”. Ecco credo che sia questo il concetto che ci si può portare a casa dopo questa intervista: il futuro significa innovazione e questo naturalmente implica anche errori e disparità, le quali però non devono essere un freno alla crescita della società, che per scongiurare altri errori si astiene ad applicare nuovi approcci e metodologie. Al contrario! Queste “fragilità” possono e devono essere il punto da cui ripartire.
Personal branding? Scopri i segreti per un perfetto posizionamento professionale con Alice Marmieri
Ti sei mai chiesto quali elementi vanno tenuti in considerazione per creare un perfetto personal branding? Sei come me un giovane che vuole mettere in risalto la propria professionalità? Continua a leggere per scoprire i consigli di Alice Marmieri, Consulente Personal Branding e LinkedIn Expert nonché founder di Siamo Digitali. Da oltre dieci anni Alice si occupa con successo di online marketing, ha lavorato per grandi multinazionali, quali Luxottica e Google, per poi iniziare un’attività imprenditoriale fondando Marte Digital che si occupava di formazione e consulenza in ambito digitale. Da qualche anno si è focalizzata principalmente sulla formazione e sulla consulenza business to business, rivolta cioè a quei professionisti che intendono creare un proprio personal brand principalmente sulla piattaforma LinkedIn, per comunicare meglio la propria professionalità e ovviamente trovare clienti.
In occasione dei “Digital Innovation Days” ho avuto il piacere di intervistarla in qualità di Valory reporter, ponendole alcune domande sulla sua attività professionale e su come il suo operato possa anche essere d’aiuto a dei giovani che intendono creare il proprio Personal Branding.
Nel mondo on-line è importante curare il Personal Branding, ovvero crearsi un proprio e ben definito posizionamento professionale. Quali sono i punti fondamentali da considerare nella creazione di una corretta strategia da seguire?
Innanzitutto, occorre conoscere bene i propri punti di forza e punti di debolezza. Mi piace definire il Personal Branding con una citazione del CEO (Chief Executive Officer) di Amazon Jeff Bezos: “è ciò che le persone dicono quando noi non siamo nella stanza.” Il Personal Branding infatti, coinvolge tanti aspetti della nostra persona: la personalità, ciò che siamo, e quella che è la nostra immagine, quindi come ci abbigliamo, come sono i nostri capelli, se ci trucchiamo oppure no, tutto ciò che le altre persone possono vedere esternamente. Ovviamente, nel mondo online, l’immagine implica non soltanto come siamo noi, ma anche come sono i nostri asset digitali, ad esempio il nostro sito web e la nostra pagina LinkedIn. Tramite tali asset mostriamo concretamente alle altre persone le nostre conoscenze e competenze; il principio fondamentale del Personal Branding è che si tratta della percezione che gli altri hanno di noi. È come a scuola, se noi ci siamo preparati bene ma durante le interrogazioni il professore non capisce quanto abbiamo imparato, alla fine c’è un problema: non possiamo avere un buon voto. Allo stesso modo, il Personal Branding implica essenzialmente comunicare il nostro valore intrinseco, portare agli altri le nostre competenze. Conoscersi bene e far percepire agli altri ciò che abbiamo dentro è sicuramente il primo tassello del Personal Branding. Poi c’è la fase del creare valore, successivamente il comunicare, il donare in modo disinteressato quelle che sono le nostre competenze. Man mano che queste competenze vengono percepite in modo consistente da chi ci segue, si crea autorevolezza che poi si trasforma in fiducia. Nel momento in cui andiamo a creare fiducia, siamo in grado veramente di poter costruire una relazione con le persone che ci seguono, che poi si trasforma in vendita, in business che è per noi motivante, che effettivamente ci appassiona, che amiamo. Questo si può fare solamente nel momento in cui non andiamo a mentire alle altre persone, ma doniamo il valore, veramente facciamo crescere gli altri. Una volta che si crea la fiducia, le persone diventano non solo dei followers, ma diventano parte di una community, si costruiscono veramente delle relazioni tali per cui sono gli stessi membri che diventano i tuoi ambasciatori e quindi la fiducia si trasforma veramente in un passaparola.
Hai ricoperto ruoli di rilievo nel settore Digital & Innovation in Google e altre importanti aziende. Come sei arrivata a realizzare questi ambiziosi traguardi e quali discipline studiate durante il tuo percorso universitario e di formazione in ambito Digital ti sono state più utili durante il tuo percorso professionale?
Mi sono laureata più di dieci anni fa e devo ammettere che in realtà a quel tempo non si parlava ancora di Digital Marketing. Ho conseguito una laurea in Marketing Management in Bocconi e in Strategic Market Creation alla Copenhagen Business School. Non si parlava di Digital, però avevamo iniziato a trattare argomenti legati all’innovazione. Dopo aver lavorato in Luxottica, ho avuto la fortuna di essere assunta in Google, un’azienda che credeva anche nei giovani che non avevano un background digitale. Google è stata la mia scuola. I tempi erano davvero difficili, non c’erano molti corsi. Il primo mese di lavoro era dedicato esclusivamente alla formazione, da lì è stata tutta passione, voglia di fare e quello che si chiama lavoro hands-on, che nel digitale è veramente importante. A tutti i ragazzi che frequentano i miei corsi e a chiunque me lo chieda, io consiglio sempre di partire ovviamente dalla teoria, dai principi, occorre studiare sui libri, ma è necessario poi “mettere le mani in pasta”. Sbagliando si impara e quindi occorre costruire il proprio sito web, aprire il proprio blog, gestire il proprio account sui social media, creare un canale Youtube o qualsiasi cosa che ci permetta di conoscere gli strumenti digitali.
Un giovane che non ha alcuna esperienza lavorativa, quali elementi del profilo LinkedIn deve ottimizzare al fine di essere maggiormente notato ed apprezzato dalle aziende?
Sicuramente una cosa importante è cercare di non utilizzare LinkedIn come un curriculum. Ognuno ha già il proprio CV, un foglio o comunque un pdf con le proprie esperienze, ma LinkedIn è un sito web e quindi vi si possono mettere presentazioni, video, tanti contenuti aggiuntivi veramente utili per far capire alle risorse umane e agli head-hunters che sei la persona giusta per fare quel determinato lavoro. Nella presentazione iniziale occorre inserire una bella foto profilo perché viene visualizzata in qualsiasi attività tu faccia sulla piattaforma; è inoltre possibile personalizzare il tuo background di immagine gratuitamente. Nella headline devi mettere le parole descrittive per essere trovato, occorre mostrare che lavoro intendi fare utilizzando le parole chiave per cui vuoi essere trovato. Le parole chiave sono fondamentali ormai nel mondo digitale, stiamo parlando di SEO e di motori di ricerca sui social media. Devi poi raccontarti nella sezione About (Informazioni), dove si ha molto spazio a disposizione, ma se sei agli inizi non dovresti scrivere più di una pagina, cercando di raccontare le tue esperienze. Io ho una prospettiva un po’ internazionale da questo punto di vista, mi ha lasciato il segno l’esperienza avuta in Google dove veniva valorizzata quella che è chiamata la “googliness”. L’aspetto extra-lavorativo era altrettanto importante rispetto a quello che facevi sul lavoro; diplomarti o laurearti con il massimo dei voti ma essere un secchione che sta solamente sui libri non era abbastanza. Praticare uno sport dopo il lavoro, suonare uno strumento, fare attività di volontariato, più le passioni erano “strane” più venivano valorizzate. Occorre dunque mettere in risalto anche quegli aspetti trasversali che hanno creato le tue competenze, non solo nel mondo del lavoro, oltre a mostrare le esperienze che hai avuto in campo lavorativo. Se si parte da zero è necessario comunque mostrare degli asset, cioè dei contenuti che effettivamente mostrino quello che sei in grado di fare. Per esempio, se qualcuno sta cercando un social media strategist, anche se non hai ancora lavorato in quel settore, un’ottima strategia per ottenere un bel profilo è inserire link che rimandano ai tuoi social media dove hai pubblicato contenuti intelligenti e accattivanti che ti danno visibilità.
Come pensi che il Personal Branding evolverà in futuro?
Secondo me il personal branding diventerà sempre più importante. Racconto un po’ la mia esperienza. Ho visto nel mio percorso, dapprima come dipendente poi come imprenditrice ed ora come consulente, quanto sia importante il proprio personal branding e il fatto di “sapersi vendere”. Io che non sono mai stata una venditrice, che non ho mai amato vendere perché avevo la percezione del “venditore porta a porta”, ho trovato nel Personal Branding un’ottima soluzione perché in questo caso sono io che mi espongo, io fornisco il contenuto, io mostro che cosa so fare e tu decidi se ti piace oppure no. Si ribalta un po’ il meccanismo: da un marketing outbound, dove sono io che cerco i clienti, ad un marketing inbound, dove sono le persone che vengono da me. Ormai le persone non si fidano più delle aziende in quanto esse spesso svolgono anche attività magari non in linea con i valori del proprio cliente, ma si fidano delle persone. Facciamo l’esempio di un avvocato che lavora in un grosso studio, se lavora bene con i suoi clienti, anche se cambia tale studio i suoi clienti lo seguiranno. Il personal branding è proprio questo: una volta che hai creato fiducia, hai dato valore, le persone ti seguiranno e ti faranno da ambasciatori. Il Personal Branding diventerà sempre più importante proprio perché le persone vogliono parlare con altre persone, creare relazioni, essere ascoltate. Ci sarà davvero un’interessante evoluzione e spero che sarà la direzione giusta per dare valore a quello che è il potenziale di questa attività.
Credi che un canale di comunicazione responsabile come ValorY possa aiutare i giovani nella costruzione del proprio personal branding? In che modo? Assolutamente sì, come possono farlo tutte le attività che danno la possibilità ai giovani di avere più consapevolezza di quelli che sono gli strumenti e di mettersi in gioco. Fare personal branding vuol dire comunicare online, esporsi, e spesso e volentieri quello che fa la differenza è la nostra unicità. Vanno dunque esposte anche molte di quelle che sono le nostre caratteristiche personali, ma sappiamo tutti che nell’era del digitale più ti esponi più puoi essere attaccato. C’è questo rischio e quindi occorre consapevolezza di quello che si sta facendo, è necessario far sapere che lo stiamo facendo per un determinato motivo e saper affrontare nel modo giusto le critiche che vanno benissimo se sono costruttive, se cioè c’è la possibilità di avere un confronto articolato, ma se sono solo insulti deliberati, si devono tranquillamente ignorare oppure eliminare per evitare il rischio che si autogenerino, cioè si alimentino con altri commenti negativi. Mi piace molto l’idea di professionisti che mettono a disposizione dei giovani alcuni strumenti più responsabili dove trovare contenuti di valore. Io stessa ho lavorato qualche anno fa per un ente non profit che si chiama Mentors4U, dedicato a mettere in contatto gli studenti universitari, e adesso anche quelli delle scuole superiori, con professionisti che vogliono fare un po’ di give-back, cioè fare da mentori.
Quest’intervista sottolinea come il creare un proprio personal branding ben definito sia di grande importanza oggi, in particolare per noi giovani. Ognuno ha una propria unicità e social network come LinkedIn, se utilizzati e ottimizzati correttamente, possono essere un valido aiuto per il raggiungimento dei propri obiettivi di vita.
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